La pallavolo umbra piange Vjaceslav Zaytsev

Zaytsev Vjačeslav
Vjačeslav Zaytsev (foto Michele Benda)

Si è spento all’età di 70 anni uno degli sportivi più forti della storia della pallavolo. Vjaceslav Zaytsev nella sua carriera ha lasciato un segno indelebile nella disciplina delle schiacciate, ed è ricordato simpaticamente dagli sportivi umbri per aver vestito la maglia di Spoleto prima e di Città di Castello poi, a cavallo degli anni ’80 e ’90 (mettendo al mondo in Umbria il figlio Ivan che poi è diventato un giocatore della nazionale azzurra), per poi stabilirsi nel Cuore Verde d’Italia ed iniziare la carriera di allenatore a Foligno, con una parentesi anche di ritorno in campo col Trevi, all’età di 50 anni, facendo ancora invidia ai giovani che avevano trent’anni meno di lui. Chi scrive ebbe la fortuna di intervistarlo nel 2002, di seguito vi riproponiamo la versione integrale.
LA SCHEDA
Vjaceslav Zaytsev all’anagrafe, ma il suo nome è stato scritto in molti altri modi nei testi di Pallavolo e nei giornali. Tutti lo chiamano Slava. E’ nato in Unione Sovietica (oggi Russia) a Leningrado (oggi San Pietroburgo), il 12 novembre 1952.
Laureato in Economia e Commercio all’Ateneo di San Pietroburgo nel 1980, ha seguito successivamente gli studi dell’Isef conseguendo il secondo titolo universitario nel 1984 presso la sua città.
Sposato con Irina Posdnjakova (grande campionessa di nuoto) dalla quale ha avuto due figli, Anna ed Ivan, nato a Spoleto.

Zaytsev Vjaceslav (disegno)
Vjaceslav Zaytsev

LA CARRIERA
Promettente talento sin dalle giovanili, Slava (volpe, ndr) così lo soprannominano subito gli amici, progredisce incredibilmente sino ad essere eletto migliore alzatore del mondo. Con la selezione juniores russa muove i primi passi, poi esordisce con la nazionale maggiore nella quale permane dal 1972 al 1987, la sua carriera è costellata di successi: vince sette volte i Campionati Europei (dal 1972 al 1988), vince due volte la Coppa del Mondo (1978 e 1982), due volte il Campionato del Mondo (1978 e 1982), e corona il suo imbattibile palmaresse con la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca del 1980, nel suo paese. A livello internazionale conquista anche cinque medaglie d’Argento: una nella Coppa del Mondo (1985), due ai Campionati Mondiali (1977 e 1981), due ai Giochi Olimpici (1976 e 1988).
I PREMI
Uno dei registi più bravi di tutti i tempi. Giocava con la maglia numero 2, la maglia del capitano. Zaytsev, uno dei più grandi giocatori della pallavolo del pianeta, uno dei simboli della pallavolo mondiale del secolo scorso, tanto che in Russia è stato insignito del titolo di “Atleta del Secolo”. Scusate se è poco.
Dopo aver passato un ventennio con la maglia della squadra  Automobilist Leningrado, nella stagione 87/88 approda in Italia, è il primo atleta russo a cui è concesso di espatriare. A Spoleto, città che lo adotta immediatamente, trova come compagno di squadra Buck, la Venturi passa alla storia come primo club ad unire sotto la stessa maglia un russo e uno statunitense, sono gli anni successivi alla ‘Guerra Fredda’. Cinque stagioni nel campionato di serie A2 tricolore: Spoleto, Agrigento e Città di Castello, coronate da altrettante promozioni nella massima serie, altro record. Cinque anni nel paese della pasta, della pizza e degli spaghetti, a conclusione di una carriera eccezionale.
La serie A1 lo vide protagonista solo nell’ultimo suo anno da giocatore, era il 91/92 quando Zaytsev ricoprì il ruolo di alzatore nella Ingram Città di Castello, aveva quaranta anni, ma per Slava il tempo sembrava essersi fermato.
L’anno seguente l’esperienza in Svizzera con l’incarico di allenatore-giocatore a Lugano dove vince la Coppa Svizzera e giunge secondo in Campionato.

Zaytsev Vjaceslav (Spoleto)
Vjaceslav Zaytsev

BACHECA PERSONALE
Alzatore dalla classe cristallina, dotato di temperamento e spiccata personalità, Vjaceslav ha collezionato innumerevoli vittorie in nazionale nell’arco dei sedici anni che lo hanno visto protagonista, ma ha ottenuto anche un’infinità di riconoscimenti a livello individuale, il premio della Fivb quale Miglior Giocatore del Mondo nel 1981, e, la proclamazione come Miglior Alzatore del Mondo degli anni ottanta. Un fuoriclasse che ha lasciato la sua impronta indelebile nella storia di questo sport.
LE SCELTE
Di professione faceva il palleggiatore, e tiene a precisare che non ha mai voluto intraprendere la carriera militare, la divisa non l’ha mai indossata perché avrebbe significato trasferirsi al Cska di Mosca (come fecero molti colleghi), e lui proprio non voleva saperne. Slava insomma è uno che non ha mai voluto abbassare la testa per ‘adeguarsi’ al sistema, nonostante lo stipendio fosse di tutto rispetto (più del doppio di quello di un impiegato).
La sua ostinazione gli costò qualcosa in termini di gloria, vinse due volte la Coppa delle Coppe ed una la Coppa Cev, ma non partecipò mai alla Coppa dei Campioni perché con lui il club Automobilist giunse per ben tredici volte secondo nel campionato al di là degli Urali.
La Nazionale e l’avventura italiana, nessuna imposizione, tutte decisioni personali, come quella di tornare nella madrepatria per allenare il Belgorod (due volte vincitore della Coppa Russa e due volte vice-campione di Russia). Nel 1995 viene chiamato come vice allenatore della nazionale Russa, vince due medaglie di bronzo alla World League, si classifica quarto alle Olimpiadi di Atlanta (1996) e giunge quinto nei Campionati Europei (1997). Nel 1998 assume l’incarico di primo allenatore del Nafta Bratislava con il quale vince il Campionato e la Coppa di Slovacchia. Torna in Italia per guidare lo Spoleto in serie B1 e giunge secondo. Passa al Foligno dove guadagna la promozione in serie B2 e vince il titolo umbro della categoria under 20, con la stessa squadra arriva quinto alle finali nazionali, risultato storico. Da quest’anno è il tecnico della Gi-Zeta Infissi Trevi, seconda in serie C e dirige la under 20 del Monteluce con la quale ha disputato le finali regionali.

Zaytsev Vjaceslav
Vjaceslav Zaytsev

INTERVISTA
Na sdrovia (salute)! Seduti davanti ad una vodka, iniziamo a passare in rassegna tutte le foto della galleria storica di famiglia, o meglio, le poche che ha portato in Italia nel suo personale album dei ricordi.
Come è iniziata la tua avventura sportiva?
“Ho provato a fare tutto, nuoto, calcio, basket, ma la palestra di pallavolo era la più vicina a casa, e fui quasi costretto ad optare per i palleggi e i bagher, avevo otto anni”.
Nostalgia dei bei tempi?
“Guardando le foto non si può non essere nostalgici, ho trascorso 42 anni della mia vita in questo sport, sono tantissimi i ricordi nella mia mente”.
Da giovane chi era il tuo atleta preferito?
“Il mio idolo della pallavolo era il regista giapponese Toihoshi Nekoda, oggi pochi lo portano più come esempio, è morto nel 1998 per le conseguenze dei bombardamenti di Hiroshima dopo una lunga malattia, lo conoscevo bene e avevo un ottimo rapporto con lui, era di dieci anni più anziano e da lui ho imparato moltissimo”.
Come era la pallavolo nella Unione Sovietica?
“Un grandissimo livello, dodici formazioni che si scontravano da ottobre a maggio, allenamenti due volte al giorno, prreparazione durissima, corsa, palloni medicinali, e quando non c’erano palloni utilizzavamo sassi di ogni dimensione”.
Come è cambiato il volley del libero e del Rally Point?
“Le regole introdotte negli ultimi anni non mi piacciono, anni fa il tasso tecnico del campionato era maggiore, ma c’erano poche squadre in grado di vincere, ora c’è maggiore equilibrio e quindi più incertezza, ma è la potenza fisica che prevale, gli atleti sanno fare pche cose, la specializzazione dei ruoli porta gravi lacune nei fondamentali, ad esempio per quanto mi riguarda nelle mie squadre preferisco che i centrali sappiano ricevere”.
Cosa ricordi della Olimpiade 1980 a Mosca?
“Conservo un brutto ricordo, quando abbiamo vinto tutti dicevano che mancavano i più forti, e che il successo aveva un valore minore”.
E l’Olimpiade successiva di Los Angeles?
“Peggio, abbiamo lavorato durissimo per molti mesi, poi c’è stata l’invasione dell’Afganistan, trenta giorni prima dei Giochi un rappresentante del Governo è venuto a trovarci nel bel mezzo di un torneo, poco prima di una partita è sceso negli spogliatoi e ci ha detto che la Federazione avrebbe boicottato, ci crollò il mondo addosso, perdemmo la gara ed il torneo per l’immensa delusione”.
Poi cosa successe?
“Avevamo tanta rabbia in corpo, a novembre ci fù un torneo in Giappone, in finale battemmo gli Stati Uniti, conservo con gelosia quella medaglia (me la mostra), vale come un oro olimpico”.
Cosa frena il movimento della pallavolo?
“Ogni paese ha le sue tradizioni, il livello culturale della persona media è influenzato dai media, è notorio infatti che i genitori mandino come prima scelta i figli a calcio nella speranza che sfondino, se non va c’è il basket, in terza battuta il volley, per molti ragazzi che arrivano in palestra è troppo tardi per imparare; voglio aggiungere un altro elemento che ho rilevato, c’è ancora molta invidia tra gli allenatori e questo non aiuta la crescita del movimento”.
Gli stipendi sono molto cresciuti però?
“Moltissimo, ma secondo me è giusto che dei professionisti che lavorano duro e fanno sacrifici guadagnino belle cifre, ai miei tempi purtroppo avevamo solo gli onori del governo, ricordo il mio primo contratto a Spoleto, prendevo il dieci percento dell’ingaggio (il resto lo prendeva la federazione russa), non lo sapevo, l’ho scoperto solo molti anni più tardi”.
Esiste il doping nella pallavolo?
“Sinceramente non saprei dire, sono sicuro che una volta non c’era, oggi non mi stupirei se venissi a sapere che qualcuno si è dopato”.
Italia squadra del secolo, sei d’accordo?
“Non credo che si possa scegliere così facilmente nell’arco di cento anni di storia, sono tante le nazionali che hanno fatto la storia di questa disciplina, dipende dal periodo che prendiamo in esame, quella di Velasco è stata una grande nazionale, ma ci sono state almeno altre sei squadre secondo me che possono essere sullo stesso piano, è riduttivo parlare solo di una”.
Qual’è il tuo sestetto del secolo?
“Domanda impegnativa, ecco i fantastici sei: Nekoda (Giappone anni ‘60) in regia, Wojtowicz (Polonia anni ‘80) opposto, Savin (Russia anni ‘70) e Gardini (Italia anni ‘90) al centro, Kiraly (Usa anni ‘90) e Raizman (Brasile anni ‘70) schiacciatori”.
E’ giusto parlare di generazione di fenomeni?
“In ogni epoca ci sono atleti brillanti, oggi è difficile mantenersi ad altissimi livelli per molto tempo, credo che ogni periodo abbia i suoi fenomeni”.
Tante vittorie internazionali ma la popolarità è adeguata?
“In Italia forse sì, certo che se penso al campione dello sci Alberto Tomba, o se facciamo un parallelo con il calcio e la Formula Uno, ne usciamo con le ossa rotte, ad ogni modo non ci si deve lamentare perché ci sono discipline che stanno molto peggio della pallavolo, per quanto mi riguarda in Unione Sovietica noi eravamo dei perfetti sconosciuti, capitava di rado di essere riconosciuti passeggiando per la strada”.
La soddisfazione maggiore avuta?
“L’anno scorso, quando ho pescato sul fiume una trota di 5 chili e 750 grammi, è stata una grossa soddisfazione, un evento incredibile”.
Il ricordo più bello?
“La nascita di mio figlio Ivan, quando venne alla luce Anna non ero quasi mai a casa, mentre con lui ho avuto maggior consapevolezza di cosa significa essere padre, ho potuto essergli accanto sempre”.
Il ricordo più brutto?
“Ogni sconfitta è un brutto ricordo, mi dispiace però che il mio pese abbia perso una gran parte di campioni, la difficoltà a trovare lavoro ha costretto tutti quelli che potevano ad espetriare, un patrimonio sportivo e culturale difficile da rimpiazzare”.
Lasciare dal tuo paese è stato difficile?
“Molto, penso ai nostri genitori anziani che sono rimasti la, fortunatamente ho trovato in Umbria persone che mi hanno aiutato, non tutte, ma la scelta l’abbiamo presa soprattutto per nostro figlio, facciamo il possibile perché lui, sono due anni che manco da casa, spero di tornare presto”.
Racconta come andò la scelta di espatriare?
“Ero a fine carriera, fui il primo a cui Gorbaciov concesse di uscire, ebbi un contatto con Pittera e trovammo l’accordo, i miei compagni non erano invidiosi perché sapevano che da li a poco sarbbe stato il loro turno”.
Che cosa ti manca di più?
“Gli amici e tutto uno stile di vita a cui ero abituato, nei primi tempi è stata durissimo stare lontani, ora con i figli è più semplice”.
E’ vero che il tuo cognome ti ha creato problemi?
“Le prime volte che sono uscito dai confini nazionali ho capito che non sarebbe stato semplice, ho visto scrivere il mio nome in tante diverse forme: Vyacheslav, Vjacheslav, Viatcheslav; per non parlare del cognome: Zajtsev, Zaisev, Zaitsev, alla fine ho capito che sarebbe stato meglio quest’ultima forma, più internazionale delle altre, ho cambiato anche il cognome sul passaporto di mio figlio per non creare troppi equivoci”.
Un pregio e un difetto?
“Bisognerebbe chiedere agli altri, sono impulsivo e diretto, dico tutto quello che penso, non so se questo è un difetto”.
Cosa ti piace fare nei momenti di relax?
“Viaggiare con l’auto, pescare, ma il tempo è poco per i divertimenti”.
E’ più semplice giocare o allenare?
“Senza dubbio giocare, quando hai esperienza riesci a fare bene in ogni situazione, in ogni caso mi ritengo fortunato di aver conosciuto molti grandi allenatori, cosa che mi aiuta nel compito di tecnico”.
Descrivi il rapporto con i giovani d’oggi?
“E’ un confronto difficilissimo per molti motivi, innanzitutto sono cambiati i valori, una volta il pallone era un motivo più che valido per trascorrere un intero pomeriggio in palestra, oggi i ragazzi hanno bisogno di altri stimoli, i ragazzi sono ambiziosi ma siccome la vita è facile c’è poca disponibilità al sacrificio”.
Qual’è il rapporto in palestra con tuo figlio?
“E’ un rapporto difficile, il più duro di tutti, è una di quelle cose per le quali non ti senti mai pienamente soddisfatto, mi è capitato di riprenderlo molto più spesso degli altri, e certamente davanti ai compagni non è il massimo, per questa ragione preferisco che sia un altro tecnico a crescerlo, mi limito solo a dargli qualche consiglio”.
La figura di Campione influenza le scelte di tuo figlio?
“Credo che in qualche maniera sia inevitabile, gioca bene a tennis da tavolo nel quale è richiestissimo, a calcio è bravo, ma ha fatto la sua scelta, vuole diventare come papà”.
Come vedi il futuro della pallavolo?
“Sempre più fisico e con altezze incredibili, ma secondo me l’altezza massima è 205 centimetri, oltre questa soglia non c’è la reattività che serve”.
Chi vincerà i prossimi Mondiali?
“Pronostico difficile, non ho avuto modo di vedere tutte le squadre, ma in quelle che ho osservato mancava sempre qualcosa, credo possano essere in grado di vincere Cuba, Italia, Brasile o Russia, non credo nella Yugoslavia e nemmeno nell’Olanda, sarebbe bella una finale tra Italia e Russia”.
Cosa ti dice la data 9 marzo 2002?
“Sono tornato a giocare per una partita di serie C umbra, a distanza di dieci anni dalla mia ultima apparizione ufficiale, abbiamo vinto”.
Sei tornato in campo a 50 anni, cosa volevi dimostrare?
“Che il vecchio fucile può ancora sparare, si è trattato di una lezione per i miei atleti e per mio figlio, non per gli avversari come hanno scritto i giornali, ho voluto dimostrare che basta una mentalità vincente per ottenere le cose migliori, abbiamo registrato la partita, spero che sia servito alla squadra che alleno”.
Tornerai a giocare in futuro?
“Non lo so, forse, se la salute me lo permette perché no”.
E allora Slava,… na sdrovia!
riposa in pace campione